LAST CALL | Eppure
Eppure
Di Giuseppe Fantasia
Alla fine è arrivato. Come sempre accade, lo ha fatto di notte, nel suo massimo livore.
Si era fatto già sentire nei giorni precedenti, ma le sue erano state solo delle comparsate.
Soltanto un pomeriggio, all’improvviso, si era palesato mentre bevevo il tè con il latte, ma non potevo certo sapere le sue intenzioni. Iniziai ad avere una certa paura, perché fino a quel momento, non aveva mai fatto così. Che poi, uno dice: “in un posto del genere, c’era da aspettarselo”. Eppure.
Quella notte è tornato a spaventarmi e a spaventare migliaia di aquilani in un orario – le 3 e 32 del mattino – che è divenuto poi un simbolo, segnando un prima e un dopo. In certe circostanze ventidue secondi sembrano un’eternità, provate anche voi a contarli. Ci provai mentre tutto si muoveva fuori e dentro di me, senza però mai arrivare fino in fondo. Ci riuscii nei giorni successivi a quella scossa, perché in quel preciso momento il tempo fermò il tempo, arrivò il buio e la luce non si vide per un po’. Eppure.
In realtà, il 6 aprile del 2009 a L’Aquila non c’ero, ma solo per caso. Ero per lavoro in un paese del teramano che ospitava una mostra di Alberto Burri. A un certo punto notai che dalla parte anteriore della macchina c’era del fumo bianco. Un negato con i motori e affini cosa poteva saperne? Al telefono, i miei genitori mi consigliarono di restare lì a dormire vista l’ora e di andare da un meccanico il giorno dopo. Non potevo neanche immaginare che quella loro telefonata mi avrebbe salvato la vita. Eppure.
Quella notte, la stanza che era stata mia fino al liceo e che mi ospitava sempre ogni volta che tornavo nella città dove sono nato risultò essere la più distrutta della casa. L’enorme libreria lunga tutta una parete e alta dieci scaffali precipitò con migliaia di libri sul mio letto e sulla vicina scrivania, distruggendo ogni cosa. Caso o coincidenza, chi lo sa, alcuni dicono che non esistono. Eppure.
A Teramo, la cittadina dove dormii, lui arrivò ugualmente, ma non con quella veemenza. Si sentì persino a Roma. Oggi ricordo le lacrime, il non sapere nato dall’inaspettato e il suo contrario, le immagini sempre uguali ai tg, la città distrutta con i suoi simboli che all’improvviso divennero noti in tutto il mondo, i nomi dei primi morti che arrivarono a 109, i telefoni staccati, il terrore, ancora le lacrime, le prime telefonate, le voci dei miei, quella di mia sorella che era in Spagna, gli abbracci con persone sconosciute per strada. L’affetto, a volte, può arrivare in luoghi e in circostanze impensabili. Eppure.
Rividi i miei giorni dopo, e così mia nonna Mini. Ricordo ancora adesso che è anche lei un ricordo vivo, il suo odore, il rumore delle sue collane con i ciondoli che ogni tanto si impigliavano alla maglia – “Stai bene nonni’? L’importante è quello” – le voci di chi c’era e di chi non c’è più, le nostre case distrutte, violentate e sfregiate come le nostre anime, le altre scosse, la gatta Zorba col nome da gatto, persa e poi ritrovata, le tendopoli e le orrende stanze dei tanti hotel sulla costa adriatica, gli oggetti ripresi nel tempo e portati lì per salvarli dai ladri (le foto senza le cornici che avevamo in salotto, quella poltroncina dell’altra casa in campagna, una mini Tour Eiffel e altre cose senza senso), il G8 e Obama, ma anche Clooney con Murray in pole position con altri in cerca di visibilità, gli scandali e le vergogne, le paure e la ricostruzione lenta, i silenzi assordanti, il freddo, la città che reagì e che continua ancora a farlo, come chi l’ha vissuta e chi vuole continuare a viverla. Dicono che quella notte siamo morti un po’ tutti e in parte è vero. Eppure… da quel tunnel abbiamo cercato una via d’uscita che è stata lenta, faticosissima, fino ad arrivare a una luce che è un buco piccolo. L’abbiamo aperto e nonostante tutto, ci fa respirare ancora.
Alle 3.32 del 6 aprile 2009, una violenta scossa di terremoto sconvolse L’Aquila e il territorio abruzzese.
Il sisma registrò una magnitudo 5.9 della scala Richter, una magnitudo
momento 6.3 e una profondità pari a 8.8 chilometri.
Alla fine è arrivato. Come sempre accade, lo ha fatto di notte, nel suo massimo livore.
Si era fatto già sentire nei giorni precedenti, ma le sue erano state solo delle comparsate.
Soltanto un pomeriggio, all’improvviso, si era palesato mentre bevevo il tè con il latte, ma non potevo certo sapere le sue intenzioni. Iniziai ad avere una certa paura, perché fino a quel momento, non aveva mai fatto così. Che poi, uno dice: “in un posto del genere, c’era da aspettarselo”. Eppure.
Quella notte è tornato a spaventarmi e a spaventare migliaia di aquilani in un orario – le 3 e 32 del mattino – che è divenuto poi un simbolo, segnando un prima e un dopo. In certe circostanze ventidue secondi sembrano un’eternità, provate anche voi a contarli. Ci provai mentre tutto si muoveva fuori e dentro di me, senza però mai arrivare fino in fondo. Ci riuscii nei giorni successivi a quella scossa, perché in quel preciso momento il tempo fermò il tempo, arrivò il buio e la luce non si vide per un po’. Eppure.
In realtà, il 6 aprile del 2009 a L’Aquila non c’ero, ma solo per caso. Ero per lavoro in un paese del teramano che ospitava una mostra di Alberto Burri. A un certo punto notai che dalla parte anteriore della macchina c’era del fumo bianco. Un negato con i motori e affini cosa poteva saperne? Al telefono, i miei genitori mi consigliarono di restare lì a dormire vista l’ora e di andare da un meccanico il giorno dopo. Non potevo neanche immaginare che quella loro telefonata mi avrebbe salvato la vita. Eppure.
Quella notte, la stanza che era stata mia fino al liceo e che mi ospitava sempre ogni volta che tornavo nella città dove sono nato risultò essere la più distrutta della casa. L’enorme libreria lunga tutta una parete e alta dieci scaffali precipitò con migliaia di libri sul mio letto e sulla vicina scrivania, distruggendo ogni cosa. Caso o coincidenza, chi lo sa, alcuni dicono che non esistono. Eppure.
A Teramo, la cittadina dove dormii, lui arrivò ugualmente, ma non con quella veemenza. Si sentì persino a Roma. Oggi ricordo le lacrime, il non sapere nato dall’inaspettato e il suo contrario, le immagini sempre uguali ai tg, la città distrutta con i suoi simboli che all’improvviso divennero noti in tutto il mondo, i nomi dei primi morti che arrivarono a 109, i telefoni staccati, il terrore, ancora le lacrime, le prime telefonate, le voci dei miei, quella di mia sorella che era in Spagna, gli abbracci con persone sconosciute per strada. L’affetto, a volte, può arrivare in luoghi e in circostanze impensabili. Eppure.
Rividi i miei giorni dopo, e così mia nonna Mini. Ricordo ancora adesso che è anche lei un ricordo vivo, il suo odore, il rumore delle sue collane con i ciondoli che ogni tanto si impigliavano alla maglia – “Stai bene nonni’? L’importante è quello” – le voci di chi c’era e di chi non c’è più, le nostre case distrutte, violentate e sfregiate come le nostre anime, le altre scosse, la gatta Zorba col nome da gatto, persa e poi ritrovata, le tendopoli e le orrende stanze dei tanti hotel sulla costa adriatica, gli oggetti ripresi nel tempo e portati lì per salvarli dai ladri (le foto senza le cornici che avevamo in salotto, quella poltroncina dell’altra casa in campagna, una mini Tour Eiffel e altre cose senza senso), il G8 e Obama, ma anche Clooney con Murray in pole position con altri in cerca di visibilità, gli scandali e le vergogne, le paure e la ricostruzione lenta, i silenzi assordanti, il freddo, la città che reagì e che continua ancora a farlo, come chi l’ha vissuta e chi vuole continuare a viverla. Dicono che quella notte siamo morti un po’ tutti e in parte è vero. Eppure… da quel tunnel abbiamo cercato una via d’uscita che è stata lenta, faticosissima, fino ad arrivare a una luce che è un buco piccolo. L’abbiamo aperto e nonostante tutto, ci fa respirare ancora.
Alle 3.32 del 6 aprile 2009, una violenta scossa di terremoto sconvolse L’Aquila e il territorio abruzzese.
Il sisma registrò una magnitudo 5.9 della scala Richter, una magnitudo
momento 6.3 e una profondità pari a 8.8 chilometri.