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BACK TO THE FUTURE | #Viaggi nell’Archivio Giorgetti

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#Viaggi nell’Archivio Giorgetti. Jacques Couelle

di Cristiana Colli

Carpetta ocra, marchio a secco Giorgetti, scritta rossa in stampatello – arch puntato Couelle. È la bella storia di un dialogo tra sapienza del fare e pensiero visionario – report dettagliati, sketch, appunti e qualche annotazione personale.

È il 14 marzo 1962. A Olbia, davanti al notaio Mario Altea, Karim Aga Khan, Patrick Guinness, Felix Bigio, Andrè Ardoin, John Duncan Miller e René Podbielski danno vita al Consorzio Costa Smeralda. L’Aga Khan, insieme alle più facoltose famiglie d’Europa – dai Rothschild ai Fürstenberg – traccia le coordinate di un progetto ambizioso per l’area dei Monti di Mola, un nowhere di stupefacente bellezza dove non ci sono strade, acqua, luce elettrica.
La sua visione è cristallina come il mare che lo ha incantato – quelli saranno i Caraibi a un’ora di aereo da Londra e Parigi.

A quel tempo Olbia è una delle città più povere dell’isola – il porto parzialmente distrutto, l’aeroporto chiuso, la strada per Arzachena ancora sterrata, la Gallura un’enclave senza relazioni. L’occasione è unica per cambiare il destino dell’area, ridisegnare la scala dei desideri tra residenza ed esperienza, dare vita a un modello di insediamento turistico fatto di paesaggio servizi e accoglienza.

La dimensione imponente del progetto e dell’investimento, insieme alla mancanza di leggi urbanistiche, convince l’Aga Khan a immaginare un sistema di regole elaborate da un comitato di architettura – composto da Luigi Vietti, Jacques Couelle, Michele Busiri Vici – chiamato a definire vincoli sul dove e sul come costruire, a partire da prescrizioni tassative – la ricerca del rapporto armonico tra architettura e natura, la relazione tra spazi e visuali panoramiche del golfo.

Buone intenzioni e un dibattito animato sui media più autorevoli degli anni ’70, dove il modello Costa Smeralda interroga sull’idea di nuova edificazione e insediamento in assenza di riferimenti storici. L’area diventerà presto un enorme cantiere – ville, alberghi, infrastrutture – e Jacques Couelle sarà tra i protagonisti di questo progetto di trasformazione. Si deve a lui la riscoperta del rapporto intimo e ancestrale che lega l’uomo all’ambiente per il tramite di forme organiche, curve morbide, linee arrotondate; le sue opere saranno incontri e dialoghi tra architettura e scultura, sperimentazioni sui materiali originari e identitari – granito, legno, calce, filo di ferro – spesso interpretati insieme ad artigiani locali.

È il 30 novembre 1977 quando lui, proprio lui, l’architettoscultore, l’anarchitetto come lo aveva definito Jacques Prévert, l’eccentrico artista amico di Pablo Picasso e Salvador Dalí cui viene assegnata la Légion d’honneur per meriti artistici, chiama Meda. Si rivolge a Giorgetti per una realizzazione importante, difficile, che chiede straordinarie abilità – lo si capisce subito. Il dialogo è con Umberto Asnago, il responsabile dell’ufficio tecnico e designer lui stesso, una di quelle straordinarie figure che hanno fatto la storia della manifattura italiana e dell’innovazione incrementale dei distretti.

Nelle corrispondenze tra Meda e Parigi, Jaques Couelle chiede di verificare la fattibilità di un progetto che appare ardito e sfidante: dai report di Asnago si intuisce che la realizzazione di un piano in granito con una spirale e componenti di stagno in lastre sarà per le maestranze coinvolte l’ennesima occasione di misurarsi con soluzioni mai viste prima.

Quell’opera così importante e complessa ha una destinazione speciale, è per il suo progetto più celebrato, un luogo tra i più iconici del mondo – l’Hotel Cala di Volpe – che all’esterno appare come un antico villaggio di pescatori mediterraneo, e dentro è un’architettura moderna. 

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