PHOTO JOURNAL | Milano, Grand Tour
Milano, Grand Tour
fotografie di Federico Cedrone
testo di Giancarlo Bosio
“Milano è proprio bella, amico mio,
e credimi che qualche volta
c'è proprio bisogno di una tenace volontà
per resistere alle sue seduzioni, a restare al lavoro”.
—Giovanni Verga, dalla lettera a Luigi Capuana, 1873
Il Teatro Manzoni di Alziro Bergonzo, del 1950, l’Istituto Svizzero di Armin Meili e Giovanni Romano, del 1952, il PAC | Padiglione di Arte Contemporanea di Ignazio Gardella, del 1954, e per chiudere, con un salto nel tempo, gli uffici di Confcommercio di Eugenio Gerli, di fine anni ’60.
In questo nuovo numero, il Photo Journal di GM – che ogni anno racconta trame sottili e dettagli inconsueti, identità e specificità di luoghi e spazi anche inediti e sconosciuti – ci accompagna in un grand tour milanese, in particolare nella zona del Quadrilatero della moda, il quartiere “che piace” sempre più anche alle firme del design – come dimostra la nostra nuova “casa” Giorgetti Spiga - The Place al numero trentuno. Non solo vetrine però. A incantare i flâneurs di tutto il mondo c’è anche la bellezza delle sue architetture. Qui, dove moda e design, tradizione e innovazione si incontrano e si parlano, sulla trama antica della città si innalzano opere del Novecento modernista milanese di grande valore, che con le loro linee pure e i loro materiali nobili vanno a creare un mondo contemporaneo con la qualità dell’antico. Ma dietro alle architetture ci sono le storie delle origini, di chi ha voluto e creduto in quelle “case gioiello”, destinate ad accogliere l’arte, lo spettacolo, il commercio, o semplicemente a suscitare stupore e meraviglia.
La visita comincia dal Teatro Manzoni, simbolo e orgoglio milanese, palco dei virtuosi e delle dive del teatro – da Eleonora Duse a Sarah Bernhardt, da Luigi Pirandello a Filippo Tommaso Marinetti, fino a Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Eduardo De Filippo. Così scrive Sabatino Lopez, autore e critico degli anni ’20: “Non troppo grande, non troppo piccolo, elegante, vivace, signorile. …il Manzoni è forse quanto di più milanese è a Milano”. Nato in piazza San Fedele nel 1872 con il nome di Teatro della Commedia e intitolato l’anno successivo ad Alessandro Manzoni a seguito della sua scomparsa, questo teatro rappresenta un punto fermo nella vita culturale milanese e italiana. Fu il primo in Europa a essere illuminato elettricamente – le fonti riportano la data del 30 novembre 1883. Distrutto nei bombardamenti alleati dell’agosto del 1943, fu ricostruito dall’architetto Alziro Bergonzo e inaugurato nel 1950 in via Manzoni quarantadue, come parte di un progetto più ampio destinato ad accogliere nello stesso edificio anche un grande cinema, un night e una galleria commerciale.
Un breve percorso di 300 metri conduce all’Istituto Svizzero – angolo tra via del Vecchio Politecnico e via Palestro. Nel 1913 si costituì la “Società per la sede dello Schweizer Verein”, con la mission di procurare una “casa” alla comunità svizzera di Milano. L’immobile acquistato in via Disciplini (zona Vetra) andò totalmente distrutto nel 1943 in un terribile bombardamento su Milano, e così al termine del conflitto, nel 1946, la Società Svizzera reperì un terreno in piazza Cavour, offerto gratuitamente dal Comune di Milano. L’incarico di costruire il nuovo edificio, un vero e proprio grattacielo all’epoca – fino al 1954 detiene il record del grattacielo più alto di Milano – fu affidato agli architetti Armin Meili e Giovanni Romano. Meili volò addirittura a New York per trarre ispirazione dai cantieri avveniristici del Palazzo dell’ONU e del grattacielo Lever House. Meili e Romano riuscirono a presentare un progetto legato al contesto milanese, trasformando il grattacielo in un alto condominio, come se ne vedevano in città, ma alto tre volte tanto. I materiali scelti furono molto “italiani”, travertino, marmo e granito, come anche la disposizione delle finestre, degli spazi commerciali e della parte terminale del grattacielo. La posa della prima pietra avvenne nel novembre 1949, l’inaugurazione nel 1952.
Pochi passi separano dal PAC | Padiglione di Arte Contemporanea. Via Palestro quattordici. La sua storia inizia nel 1947 quando il Comune di Milano, in cerca di un nuovo spazio per le collezioni delle Civiche Raccolte del XX secolo, individua le ex-scuderie della Villa Reale, distrutte dai bombardamenti del 1943. La Villa era già sede della Galleria d’Arte Moderna (GAM) dal 1921, ma gli spazi erano insufficienti a ospitare l’arte più recente e, in prospettiva, un museo per l’arte contemporanea in potenziale crescita. Nel 1948 viene selezionato il progetto firmato dall'architetto Ignazio Gardella. Il Padiglione inaugura nel 1954 come sede per le Civiche Raccolte ma quasi subito coglie anche le esigenze di apertura verso l’estero che dopo la guerra investono il mondo della cultura e dell’arte. Il PAC infatti e tra i primi esempi in Italia di architettura progettata per l’arte contemporanea, simile alle kunsthalle europee e pensata come un’agile struttura espositiva, con spazi fluidi privi di pareti divisorie, un’innovazione per l’epoca, come originale e la continuità tra il naturale e l’artificiale, tra arte e natura, grazie alla vetrata che si affaccia sui giardini di Villa Reale – tutti elementi ereditati dal Movimento Moderno.
Il grand tour si conclude nella sede degli uffici di Confcommercio di Milano – corso Venezia quarantasette – che dal 1967 ha sede nel Palazzo Castiglioni, gioiello del liberty milanese, un progetto di primo Novecento commissionato dall'imprenditore Ermenegildo Castiglioni all’architetto allora piu audace e in voga, Giuseppe Sommaruga.Durante il sopralluogo, ho scoperto un edificio di fine anni ’60 a firma dell’architetto e designer Eugenio Gerli e dell’ingegnere Giorgio Keffer, risultato di un progetto di ristrutturazione e restauro del palazzo destinato a ospitare gli uffici del nuovo proprietario, l’Unione Commercianti di Milano. Qui ho trovato ambienti e interior di stupefacente modernità, chiusi al pubblico e sconosciuti anche ai cittadini milanesi.Durante il suo intenso percorso professionale, Gerli – allievo di Piero Portaluppi e Gio Ponti e sostenitore del Movimento Moderno di Frank Lloyd Wright, Alvar Aalto e Charles Eames – ha costruito ville, condomini, palazzi per uffici, fabbriche, banche, negozi, restaurato edifici storici. Promotore di un design globale, amo integrare l’essenzialità delle linee architettoniche con un coerente e forte legame con le arti visive, collaborando con artisti quali Arnaldo Pomodoro, Lucio Fontana, Blasco Mentor, Pietro Cascella, Guido Somaré. Ricordando le parole del critico Marco Romanelli che ha definito Eugenio Gerli un “maestro dimenticato”, ho voluto raccontare qui, nel nostro Photo Journal, qualcosa di lui, svelando ai lettori di GM uno dei suoi progetti nascosti.
Federico Cedrone, figlio d’arte, nasce a Salisbury, Rhodesia (oggi Harare, Zimbabwe). A causa della rivoluzione popolare, nel 1970 rientra in Italia. A Roma, dove cresce, trova nella fotografia la sua espressione creativa. Dal 1989 si sposta, Firenze, New York e poi Milano, dove inizia a lavorare con alcune testate di moda e dal ’96 con Elle Decor, collaborazione che gli permette di scoprire un ambiente più vicino al suo modo di essere. Collabora con numerose riviste italiane e internazionali – tra cui Vogue, Elle, Grazia, D - la Repubblica delle donne, Io Donna, Amica – e con numerose aziende di design – come Knoll, B&B Italia, Arclinea, Rimadesio, Cassina, Poliform, Minotti, Bisazza, Rubelli, Desalto, Nemo, Boffi, De Padova – per cui realizza le immagini per i cataloghi e campagne pubblicitarie. Insegna presso l’Università Iuav di Venezia e l’ateneo H-Farm di Treviso.