ENVIRONMENT | Gli Avengers, Mosè e i dilemmi della sostenibilità
Gli Avengers, Mosè e i dilemmi della sostenibilità
L’adozione di un ragionamento sistemico sul tema della sostenibilità ci obbliga al confronto con i dilemmi e la complessità che l’impatto della vita umana sulla Terra comporta. I benefici delle azioni responsabili hanno un costo, che chiama in causa l’etica e la morale. Per non sottovalutare rischi ed errori, e dare un senso a ciò che facciamo.
di Maura Gancitano
Nei film Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame il villain, il mutante Thanos, decide di sterminare metà degli abitanti dell’universo. Ciò che lo muove non è un semplice desiderio di vendetta o distruzione, ma l’intento di rispondere a un ordine universale incomprensibile agli umani: l’Universo rischia la sovrappopolazione, e quindi il collasso, per cui è necessario ristabilire l’equilibrio.
Il titano non ragiona secondo una morale umana, ma neppure per malvagità: è mosso da un ideale superiore ed è convinto di essere il prescelto, e alla figlia Gamora dice di essere l’unico a sapere cosa sia giusto fare, o almeno l’unico con il coraggio e la volontà di intervenire. Viaggia dunque tra i pianeti uccidendo la popolazione senza valutare chi meriti o no di sopravvivere, ma facendosi guidare solo dal caso: conta solo la quantità di esseri che rimangono in vita, cioè uno su due.
La mitologia contemporanea degli Avengers ha radici, come accade spesso, nelle grandi narrazioni antiche. Una di queste, contenuta nella Sura 18 del Corano, racconta di un misterioso personaggio, al-Khid.r (l’Uomo Verde), così chiamato perché una volta si era seduto su una terra arida e l’aveva resa verde e lussureggiante di vegetazione. Un giorno l’uomo aveva soccorso il profeta Mosè (in arabo Mūsā), il quale gli aveva chiesto di poterlo seguire e imparare i suoi insegnamenti per comportarsi rettamente e trovare la giusta via (rushd). al-Khid.r gli aveva permesso di accompagnarlo, a patto che Mosè non gli chiedesse spiegazioni sulle sue azioni, qualunque cosa si fosse trovato a vedere. Nel corso del viaggio, Mosè vide il maestro affondare la barca di una povera famiglia, uccidere un giovane, ricostruire il muro di una città in cui nessuno aveva dato loro ristoro. Alla fine, al-Khid.r gli spiegò le ragioni delle proprie azioni, che tenevano conto di fatti e conseguenze precluse al giovane Mosè: aveva affondato la barca perché un tiranno le stava rubando alle famiglie povere, ma quel tiranno sarebbe morto il giorno dopo e la famiglia avrebbe potuto recuperarla dal fondo del fiume; aveva ucciso un giovane perché sarebbe diventato una persona cattiva e violenta; aveva ricostruito il muro per proteggere il tesoro di un uomo buono, che altrimenti sarebbe stato trafugato dai membri della città anziché trovato dai suoi eredi.
Le azioni di Thanos e di al-Khid.r, sebbene molto diverse e legate a piani differenti dell’esistenza, ci aiutano in ogni caso a confrontarci con un’idea molto respingente in tempi polarizzati come quelli in cui viviamo: quella del dilemma. Avere più dati e informazioni e immaginare le conseguenze future delle azioni attuali non rende le scelte più semplici, ma più complesse.
Percepire un dilemma significa accorgersi che di fronte a un problema la scelta delle azioni da compiere non è pacifica, ma comporta sempre costi e benefici o la contraddizione tra valori ugualmente importanti, che non si possono escludere a vicenda.
L’esperimento mentale del trolley problem, formulato nel 1967 dalla filosofa britannica Philippa Ruth Foot, per esempio, racconta di un tram privo della capacità di frenare, posto su un percorso da cui partono due binari: a uno di questi sono legate cinque persone, che non possono scappare; su un altro, un solo individuo, anche questo legato ai binari. Il tram si dirige verso il binario a cui sono legate le cinque persone, ma è possibile schiacciare un deviatore, che può portare il tram sul binario a cui è legato l’altro individuo. Davanti al deviatore si trova una persona, che non conosce le persone legate, ma che può decidere se deviare o no il corso del tram. Cosa è giusto che faccia? Non fare niente e lasciare che il tram uccida le cinque persone, oppure deviarlo ma decidendo la sorte dell’altro individuo?
Quando parliamo di sostenibilità, cioè della capacità della biosfera terrestre e della civiltà umana di coesistere, parliamo senza dubbio di ricerca scientifica, produzione industriale e climatologia, ma parliamo sempre anche della capacità di percepire i dilemmi e la complessità che l’impatto della vita umana sulla Terra comporta.
Oggi sappiamo che il cambiamento climatico ha un’origine antropica e che i modelli di produzione e consumo degli ultimi secoli hanno alterato gli equilibri. Sappiamo, dunque, che per compensare i danni delle azioni umane insostenibili servono altre azioni umane responsabili e ragionevoli. Quando andiamo a toccare effettivamente questi modelli per cambiarli, però, possiamo accorgerci che nessuna azione comporta solo benefici senza costi, e che quindi una valutazione responsabile chiede la consapevolezza delle perdite potenziali in termini economici o sociali, per esempio. Chi ritiene che le azioni da compiere siano chiare e non comportino la possibilità di errore, sta probabilmente ignorando i suoi risvolti contraddittori.
Rendere le nostre vite sostenibili è possibile ma non è semplice, è urgente ma richiede scelte consapevoli, e la capacità di tenere insieme i dati scientifici e i modelli economici con il piano dell’etica e della morale. Un piano che ci pone di fronte al rischio, all’errore e ci impedisce di credere che possa esistere un’azione perfetta o giusta in senso assoluto. Ma che ci spinge a dare un senso a ciò che compiamo e a prendercene tutte le responsabilità.