EYE ON ART| L’empatia creativa di Fernando
L'empatia creativa di Fernando
Stanziale e un po’ routinario, il venezuelano Fernando Cobelo si sposta volentieri per piacere e per lavoro, ma ama rientrare “alla base”. Torino gli ha donato certezze e affetti, opportunità e glorie. Un successo conquistato dopo un lungo percorso da autodidatta.
La sua pazienza lo ha premiato: oggi è tra gli illustratori più riconosciuti al mondo. Grazie anche alla sua divina ossessione per l’umanità.
Di Roberta Busnelli
Fernando, Fer per amici e parenti, è arrivato da lontano per realizzare i suoi sogni. Dopo la laurea in Architettura in Venezuela, a 22 anni è partito con uno zaino pieno di sogni che ha depositato davanti al Politecnico di Torino, dove ha raddoppiato la corona d’alloro. In Italia avrebbe dovuto soggiornare due anni – ne sono passati quattordici, e non intende trasferirsi altrove. La sua carriera fulminante è iniziata qui, ed è qui che ha potuto dedicarsi al suo unico grande amore: il disegno. “L’illustrazione è una passione che avevo fin da piccolo”, inizia a raccontare. “In Venezuela non esistono scuole o accademie. La professione di illustratore non viene neanche presa in considerazione, come molte altre professioni creative. Il disegno è sempre stato parte di me”.
Tanta strada è stata percorsa da quando il piccolo Cobelo aiutava la sorellina e gli amici con i compiti creativi, disegnava i suoi cartoni animati preferiti, li ritagliava e giocava con loro come fossero dei pupazzi. Ma l’emotività è rimasta quella dei bambini, un’emotività spontanea, che si libera con gli altri e libera sé stessi. “Sono una persona che si emoziona facilmente – rabbia, tristezza, malinconia, nostalgia per le cose belle del passato ma anche del presente e del futuro. Questo lato di me mi aiuta a creare narrazioni calde, empatiche ed è forse l’aspetto che mi piace di più delle mie illustrazioni, mi viene facile esprimerlo”. Fernando, al mattino alla scrivania di casa a sbrigare mail e burocrazia, al pomeriggio in studio a disegnare rigorosamente con sottofondo musicale, mescola l’analogico – a cui riserva la parte creativa del lavoro, la costruzione dell’illustrazione – con il digitale, che apprezza per la velocità di progettazione, fondamentale per raggiungere alti livelli di produttività. “Nelle mie illustrazioni – spiega – c’è una componente molto materica, soprattutto nelle texture che metto sui miei personaggi, sugli sfondi, sulle superfici e queste texture sono perlopiù fatte a mano: con la matita o con l’inchiostro su acetati o fogli. Solo a questo punto utilizzo il digitale. Per me è importante che il valore materico venga fuori bene”. E la palette? Fernando sorride.
“Ho iniziato a utilizzare i colori tardi. All’inizio era tutto inchiostro, nero su bianco, al massimo campiture di grigio, perché sentivo che per me non era importante il colore, anzi era una sorta di sfida poter esprimere molti concetti, anche in profondità, senza l’utilizzo del colore”. Subentrano, quindi, le geometrie, le forme, le metafore visive, un approccio che condivide con le sue muse: tra gli illustratori e gli artisti l’italiana Elisa Talentino, il coreano Moonassi, lo spagnolo Pablo Amargo, la svizzera Lora Lamm, tra i grandi del passato Depero e Matisse. Oggi, nelle illustrazioni di Cobelo il colore c’è – piace al pubblico e ai committenti – ma sempre utilizzato con garbo e sobrietà.
“La mia palette continua a essere molto limitata”, puntualizza. “Utilizzo il bianco e nero contrastato con colori molto brillanti – il giallo è il mio preferito – ma le tonalità di colore non sono mai più di due/tre a illustrazione. Così il lavoro risulta molto più grafico grazie al contrasto creato dal gioco degli elementi compositivi”. E tra questi il più amato da Fernando è la figura umana – con le sue braccia, le sue mani, le sue gambe. L’umanità è centrale nel lavoro e nella vita di Fer. I suoi personaggi, dall’anatomia spropositata, anticonvenzionale e bizzarra lo divertono moltissimo e lo aiutano a creare “scene” molto più dinamiche e comunicative nella loro gigantesca gestualità.
Per Cobelo è chiaro che la forma vince sul colore. Il suo processo creativo ricalca i diari di Bruce Chatwin. “La mia creatività si basa molto sulla ricerca. Scrivo taccuini su taccuini sugli argomenti che devo illustrare, di cui spesso non conosco nulla. Leggo, mi informo, ma devo scrivere in prima persona le parole che mi colpiscono per farle mie. Solo facendole mie, mi risulta facile trasformarle in sketch, in immagini”. Ma non basta che le illustrazioni siano chiare, devono soprattutto comunicare – altra parola d’ordine – devono mettersi in contatto con chi le guarda e con il vissuto che Fernando sta visualizzando. “Creare un ponte emozionale è una responsabilità, ma è fondamentale”, sostiene. Qui entrano in gioco le metafore visive di Cobelo, situazioni surreali in cui gli elementi letterali vengono sostituiti con elementi figurativi. L’illustrazione si carica di una componente onirica che attira e avvicina lo spettatore, fisicamente ed emotivamente.
“Nel mio lavoro le metafore visive sono uno strumento imprescindibile per la creazione di un concetto originale ed empatico. Solo così davanti a un’immagine ognuno potrà crearsi la propria storia” – ed è questo che più interessa a Fer. Saranno le sue narrazioni emotive oppure le sue doti organizzative, di stampo sabaudo, sarà la sua ossessione per gli obiettivi, sappiamo solo che Fernando ha calpestato tanta strada e tanta strada ha ancora davanti a sé. La vittoria è degli umani.
Fernando Cobelo è un illustratore che lavora con metafore visive e immagini essenziali. Tra i suoi clienti: The New York Times, The New Yorker, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, Google, La Repubblica, Disney, Penguin / Random House, The Washington Post, Vanity Fair, TED, Samsung, Zanichelli, Montblanc, Lavazza, WIRED, Netflix, Kiehl’s, Barilla. I suoi lavori sono stati riconosciuti da importanti istituzioni legate al mondo dell’illustrazione, tra cui l’American Illustration, la Society of Illustrators di New York, l’Associazione italiana Autori di Immagini, l’Association of Illustrators del Regno Unito.
La sua pazienza lo ha premiato: oggi è tra gli illustratori più riconosciuti al mondo. Grazie anche alla sua divina ossessione per l’umanità.
Di Roberta Busnelli
Fernando, Fer per amici e parenti, è arrivato da lontano per realizzare i suoi sogni. Dopo la laurea in Architettura in Venezuela, a 22 anni è partito con uno zaino pieno di sogni che ha depositato davanti al Politecnico di Torino, dove ha raddoppiato la corona d’alloro. In Italia avrebbe dovuto soggiornare due anni – ne sono passati quattordici, e non intende trasferirsi altrove. La sua carriera fulminante è iniziata qui, ed è qui che ha potuto dedicarsi al suo unico grande amore: il disegno. “L’illustrazione è una passione che avevo fin da piccolo”, inizia a raccontare. “In Venezuela non esistono scuole o accademie. La professione di illustratore non viene neanche presa in considerazione, come molte altre professioni creative. Il disegno è sempre stato parte di me”.
Tanta strada è stata percorsa da quando il piccolo Cobelo aiutava la sorellina e gli amici con i compiti creativi, disegnava i suoi cartoni animati preferiti, li ritagliava e giocava con loro come fossero dei pupazzi. Ma l’emotività è rimasta quella dei bambini, un’emotività spontanea, che si libera con gli altri e libera sé stessi. “Sono una persona che si emoziona facilmente – rabbia, tristezza, malinconia, nostalgia per le cose belle del passato ma anche del presente e del futuro. Questo lato di me mi aiuta a creare narrazioni calde, empatiche ed è forse l’aspetto che mi piace di più delle mie illustrazioni, mi viene facile esprimerlo”. Fernando, al mattino alla scrivania di casa a sbrigare mail e burocrazia, al pomeriggio in studio a disegnare rigorosamente con sottofondo musicale, mescola l’analogico – a cui riserva la parte creativa del lavoro, la costruzione dell’illustrazione – con il digitale, che apprezza per la velocità di progettazione, fondamentale per raggiungere alti livelli di produttività. “Nelle mie illustrazioni – spiega – c’è una componente molto materica, soprattutto nelle texture che metto sui miei personaggi, sugli sfondi, sulle superfici e queste texture sono perlopiù fatte a mano: con la matita o con l’inchiostro su acetati o fogli. Solo a questo punto utilizzo il digitale. Per me è importante che il valore materico venga fuori bene”. E la palette? Fernando sorride.
“Ho iniziato a utilizzare i colori tardi. All’inizio era tutto inchiostro, nero su bianco, al massimo campiture di grigio, perché sentivo che per me non era importante il colore, anzi era una sorta di sfida poter esprimere molti concetti, anche in profondità, senza l’utilizzo del colore”. Subentrano, quindi, le geometrie, le forme, le metafore visive, un approccio che condivide con le sue muse: tra gli illustratori e gli artisti l’italiana Elisa Talentino, il coreano Moonassi, lo spagnolo Pablo Amargo, la svizzera Lora Lamm, tra i grandi del passato Depero e Matisse. Oggi, nelle illustrazioni di Cobelo il colore c’è – piace al pubblico e ai committenti – ma sempre utilizzato con garbo e sobrietà.
“La mia palette continua a essere molto limitata”, puntualizza. “Utilizzo il bianco e nero contrastato con colori molto brillanti – il giallo è il mio preferito – ma le tonalità di colore non sono mai più di due/tre a illustrazione. Così il lavoro risulta molto più grafico grazie al contrasto creato dal gioco degli elementi compositivi”. E tra questi il più amato da Fernando è la figura umana – con le sue braccia, le sue mani, le sue gambe. L’umanità è centrale nel lavoro e nella vita di Fer. I suoi personaggi, dall’anatomia spropositata, anticonvenzionale e bizzarra lo divertono moltissimo e lo aiutano a creare “scene” molto più dinamiche e comunicative nella loro gigantesca gestualità.
Per Cobelo è chiaro che la forma vince sul colore. Il suo processo creativo ricalca i diari di Bruce Chatwin. “La mia creatività si basa molto sulla ricerca. Scrivo taccuini su taccuini sugli argomenti che devo illustrare, di cui spesso non conosco nulla. Leggo, mi informo, ma devo scrivere in prima persona le parole che mi colpiscono per farle mie. Solo facendole mie, mi risulta facile trasformarle in sketch, in immagini”. Ma non basta che le illustrazioni siano chiare, devono soprattutto comunicare – altra parola d’ordine – devono mettersi in contatto con chi le guarda e con il vissuto che Fernando sta visualizzando. “Creare un ponte emozionale è una responsabilità, ma è fondamentale”, sostiene. Qui entrano in gioco le metafore visive di Cobelo, situazioni surreali in cui gli elementi letterali vengono sostituiti con elementi figurativi. L’illustrazione si carica di una componente onirica che attira e avvicina lo spettatore, fisicamente ed emotivamente.
“Nel mio lavoro le metafore visive sono uno strumento imprescindibile per la creazione di un concetto originale ed empatico. Solo così davanti a un’immagine ognuno potrà crearsi la propria storia” – ed è questo che più interessa a Fer. Saranno le sue narrazioni emotive oppure le sue doti organizzative, di stampo sabaudo, sarà la sua ossessione per gli obiettivi, sappiamo solo che Fernando ha calpestato tanta strada e tanta strada ha ancora davanti a sé. La vittoria è degli umani.
Fernando Cobelo è un illustratore che lavora con metafore visive e immagini essenziali. Tra i suoi clienti: The New York Times, The New Yorker, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, Google, La Repubblica, Disney, Penguin / Random House, The Washington Post, Vanity Fair, TED, Samsung, Zanichelli, Montblanc, Lavazza, WIRED, Netflix, Kiehl’s, Barilla. I suoi lavori sono stati riconosciuti da importanti istituzioni legate al mondo dell’illustrazione, tra cui l’American Illustration, la Society of Illustrators di New York, l’Associazione italiana Autori di Immagini, l’Association of Illustrators del Regno Unito.