WHAT'S NEXT | Oltre il dualismo mente-corpo
Oltre il dualismo mente-corpo
Ogni idea non può essere distinta dal suo pensatore e ogni pensatore non può essere reciso dal proprio contesto. La prospettiva da cui guardiamo e conosciamo il mondo è intrinsecamente contingente e incarnata.
Di Martina Ardizzi
La scienza non è un catalogo di fatti; piuttosto è il risultato di un esercizio deduttivo, e il soggetto che lo esercita, insieme a coloro che ne fruiscono le conclusioni, ne sono parte integrante. La scienza prevede un metodo convenzionalmente definito e condiviso che indica la via su cui procedere, ma le domande poste e le conclusioni offerte sono fortemente determinate dal contesto socioculturale e dalla soggettività degli individui coinvolti. Lo stesso progresso scientifico, così ingenuamente tacciato di oggettività, non è asservito all’identificazione di verità assolute. Piuttosto, è volto alla ricerca di nuove domande che siano in grado di mantenerlo vitale e dinamico. Progredire significa essere in grado di porsi domande prima impensabili. La vera rivoluzione sta nelle domande, non certo nelle risposte.
Negli ultimi anni, alcune scoperte ottenute in ambito neuroscientifico hanno messo a dura prova, fino a smantellarlo, uno dei cardini del convenzionale pensiero occidentale, il cosiddetto “dualismo cartesiano”. Secondo questa prospettiva è possibile tracciare una distinzione tra mente e corpo. In una traduzione leggermente più articolata potremmo dire che la mente era ritenuta la funzione disincarnata e astratta di un corpo, o meglio di un cervello, che invece era totalmente materico e tangibile. Una specie di cabina di comando e di calcolo sofisticatissima la cui funzione è la mente.
In ambito neuroscientifico questa eredità del pensiero occidentale è stata assorbita dal “cognitivismo classico” che intendeva il sistema nervoso centrale come organizzato per moduli distinti e consequenziali. Esisteva un cervello che “percepiva”, uno che “pensava” e uno che “agiva”. Le aree cerebrali adibite alla percezione e all’azione erano rispettivamente deputate all’elaborazione di segnali in entrata e in uscita senza alcun ruolo cognitivo.
Oggi sappiamo che le cose sono molto più complesse e interconnesse di così. La cognizione umana è infatti strettamente legata all’interazione del corpo con l’ambiente circostante. Lo schianto definitivo del dualismo cartesiano verso una prospettiva incarnata della cognizione umana è da attribuire all’individuazione di una specifica classe di neuroni, i neuroni specchio, indentificati dal gruppo di Giacomo Rizzolatti a Parma negli anni ’90 del secolo scorso. Questi neuroni mostrano proprietà del tutto incoerenti con il modello di cervello proposto dal cognitivismo classico e supportato dal dualismo cartesiano. Essi appartengono a quella parte del cervello che agisce, sono cioè neuroni con proprietà motorie. Nonostante questo, i neuroni specchio sono sensibili anche a stimolazioni di tipo visivo o acustico, proprietà più coerenti con quella parte del cervello che percepisce. Sono infatti cellule nervose che si attivano sia quando un individuo esegue un’azione specifica sia quando l’individuo osserva o sente qualcun altro eseguire la stessa azione. Il ruolo funzionale di tale proprietà è stato associato alla comprensione implicita e diretta delle altrui azioni e intenzioni motorie. Oggi, dopo decenni di indagini condotte sia su primati non umani che sull’uomo, sappiamo che i neuroni specchio supportano i processi empatici e concorrono all’apprendimento imitativo. Queste cellule non solo superano i confini tra cervello che agisce e cervello che percepisce, ma fanno anche qualcosa di tecnicamente cognitivo.
La cognizione umana non può più essere considerata come disincarnata ed estranea al corpo. Al contrario, l’ambiente fisico, le percezioni sensoriali e le azioni motorie sono parte integrante del processo cognitivo. Le esperienze corporee, come toccare, muoversi e interagire con l’ambiente, sono fondamentali per la formazione dei concetti, per la risoluzione dei problemi e per l’elaborazione delle informazioni in generale.
In ambito linguistico, ad esempio, rappresentazioni sensomotorie sono utilizzate per accedere al significato semantico di parole sia concrete che astratte. In voi che ora leggete “baciare”, “calciare”, “spezzare” si attivano quelle regioni adibite al controllo motorio delle azioni citate e tale attivazione concorre alla comprensione semantica di ciò che state leggendo. Ancora di più, l’accesso al significato astratto di costruzioni metaforiche come “spezzare il cuore” è mediato dall’attivazione motoria legata all’azione. In altre parole, ne comprendo il significato astratto perché ho in primo luogo un accesso alla sua dimensione concreta tramite l’esperienza corporea.
Oggi, l’approccio della cognizione incarnata ha completamente superato il precedente cognitivismo classico comportando importanti implicazioni in diversi settori.
Comprendere che il corpo partecipa alla cognizione umana ha influenzato sia la progettazione di programmi educativi che considerano il ruolo centrale dell’esperienza corporea sia l’ideazione di percorsi riabilitativi di deficit cognitivi e motori che sfruttano l’interconnessione tra mente e corpo. Molto si sta facendo nella progettazione di ambienti urbani e spazi pubblici considerandoli come porosi all’impronta cognitiva dell’uomo. Lo studio degli ambienti virtuali e del loro effettivo uso prostetico dell’azione e cognizione umana sta avvantaggiandosi dell’approccio neuroscientifico e della prospettiva della cognizione incarnata.
In conclusione, il lungo percorso dalla rigidità del dualismo cartesiano alla riscoperta dell’interconnessione tra mente e corpo è un capitolo significativo nella storia delle neuroscienze e del pensiero occidentale nel suo complesso. In un’epoca in cui i progressi tecnici e la interconnessione globale permettono un’accelerazione dei processi di scoperta, le nuove domande che oggi possiamo porci sapranno dettagliare la natura olistica e incarnata della cognizione umana.
Di Martina Ardizzi
La scienza non è un catalogo di fatti; piuttosto è il risultato di un esercizio deduttivo, e il soggetto che lo esercita, insieme a coloro che ne fruiscono le conclusioni, ne sono parte integrante. La scienza prevede un metodo convenzionalmente definito e condiviso che indica la via su cui procedere, ma le domande poste e le conclusioni offerte sono fortemente determinate dal contesto socioculturale e dalla soggettività degli individui coinvolti. Lo stesso progresso scientifico, così ingenuamente tacciato di oggettività, non è asservito all’identificazione di verità assolute. Piuttosto, è volto alla ricerca di nuove domande che siano in grado di mantenerlo vitale e dinamico. Progredire significa essere in grado di porsi domande prima impensabili. La vera rivoluzione sta nelle domande, non certo nelle risposte.
Negli ultimi anni, alcune scoperte ottenute in ambito neuroscientifico hanno messo a dura prova, fino a smantellarlo, uno dei cardini del convenzionale pensiero occidentale, il cosiddetto “dualismo cartesiano”. Secondo questa prospettiva è possibile tracciare una distinzione tra mente e corpo. In una traduzione leggermente più articolata potremmo dire che la mente era ritenuta la funzione disincarnata e astratta di un corpo, o meglio di un cervello, che invece era totalmente materico e tangibile. Una specie di cabina di comando e di calcolo sofisticatissima la cui funzione è la mente.
In ambito neuroscientifico questa eredità del pensiero occidentale è stata assorbita dal “cognitivismo classico” che intendeva il sistema nervoso centrale come organizzato per moduli distinti e consequenziali. Esisteva un cervello che “percepiva”, uno che “pensava” e uno che “agiva”. Le aree cerebrali adibite alla percezione e all’azione erano rispettivamente deputate all’elaborazione di segnali in entrata e in uscita senza alcun ruolo cognitivo.
Oggi sappiamo che le cose sono molto più complesse e interconnesse di così. La cognizione umana è infatti strettamente legata all’interazione del corpo con l’ambiente circostante. Lo schianto definitivo del dualismo cartesiano verso una prospettiva incarnata della cognizione umana è da attribuire all’individuazione di una specifica classe di neuroni, i neuroni specchio, indentificati dal gruppo di Giacomo Rizzolatti a Parma negli anni ’90 del secolo scorso. Questi neuroni mostrano proprietà del tutto incoerenti con il modello di cervello proposto dal cognitivismo classico e supportato dal dualismo cartesiano. Essi appartengono a quella parte del cervello che agisce, sono cioè neuroni con proprietà motorie. Nonostante questo, i neuroni specchio sono sensibili anche a stimolazioni di tipo visivo o acustico, proprietà più coerenti con quella parte del cervello che percepisce. Sono infatti cellule nervose che si attivano sia quando un individuo esegue un’azione specifica sia quando l’individuo osserva o sente qualcun altro eseguire la stessa azione. Il ruolo funzionale di tale proprietà è stato associato alla comprensione implicita e diretta delle altrui azioni e intenzioni motorie. Oggi, dopo decenni di indagini condotte sia su primati non umani che sull’uomo, sappiamo che i neuroni specchio supportano i processi empatici e concorrono all’apprendimento imitativo. Queste cellule non solo superano i confini tra cervello che agisce e cervello che percepisce, ma fanno anche qualcosa di tecnicamente cognitivo.
La cognizione umana non può più essere considerata come disincarnata ed estranea al corpo. Al contrario, l’ambiente fisico, le percezioni sensoriali e le azioni motorie sono parte integrante del processo cognitivo. Le esperienze corporee, come toccare, muoversi e interagire con l’ambiente, sono fondamentali per la formazione dei concetti, per la risoluzione dei problemi e per l’elaborazione delle informazioni in generale.
In ambito linguistico, ad esempio, rappresentazioni sensomotorie sono utilizzate per accedere al significato semantico di parole sia concrete che astratte. In voi che ora leggete “baciare”, “calciare”, “spezzare” si attivano quelle regioni adibite al controllo motorio delle azioni citate e tale attivazione concorre alla comprensione semantica di ciò che state leggendo. Ancora di più, l’accesso al significato astratto di costruzioni metaforiche come “spezzare il cuore” è mediato dall’attivazione motoria legata all’azione. In altre parole, ne comprendo il significato astratto perché ho in primo luogo un accesso alla sua dimensione concreta tramite l’esperienza corporea.
Oggi, l’approccio della cognizione incarnata ha completamente superato il precedente cognitivismo classico comportando importanti implicazioni in diversi settori.
Comprendere che il corpo partecipa alla cognizione umana ha influenzato sia la progettazione di programmi educativi che considerano il ruolo centrale dell’esperienza corporea sia l’ideazione di percorsi riabilitativi di deficit cognitivi e motori che sfruttano l’interconnessione tra mente e corpo. Molto si sta facendo nella progettazione di ambienti urbani e spazi pubblici considerandoli come porosi all’impronta cognitiva dell’uomo. Lo studio degli ambienti virtuali e del loro effettivo uso prostetico dell’azione e cognizione umana sta avvantaggiandosi dell’approccio neuroscientifico e della prospettiva della cognizione incarnata.
In conclusione, il lungo percorso dalla rigidità del dualismo cartesiano alla riscoperta dell’interconnessione tra mente e corpo è un capitolo significativo nella storia delle neuroscienze e del pensiero occidentale nel suo complesso. In un’epoca in cui i progressi tecnici e la interconnessione globale permettono un’accelerazione dei processi di scoperta, le nuove domande che oggi possiamo porci sapranno dettagliare la natura olistica e incarnata della cognizione umana.