EYE ON ART | L’avanguardia di Rik
L’avanguardia di Rik
Vorrebbe fare il cuoco, il musicista, l’agronomo, l’enologo, il restauratore, il pasticcere, il giardiniere... e invece fa l’illustratore. Piemontese di nascita con il sogno di visitare il Giappone, Riccardo Guasco, in arte Rik, è un bohémien mancato, nomade in pectore ma stanziale per indole o pigrizia. Raccoglie idee e spunti per strada, ma li elabora e forse, chissà, li dipinge solo quando è in porto sicuro. I suoi viaggi, quelli veri, li fa disegnando.
di Roberta Busnelli
Riccardo Guasco si sveglia abbastanza presto la mattina, quando riesce, e inizia a camminare. È l’ora dedicata al movimento, all’ascolto di podcast o musica, alla messa a punto di idee e impegni. Poi, porta a scuola i figli – Gloria e Gualtiero – arriva in studio e lavora, la mattina a una bozza di un disegno e al pomeriggio alla colorazione e alla finalizzazione di un altro. Se riesce, la sera, quando tutti sono a dormire, disegna ancora un po’ – cose personali, sul taccuino, piccole tele, schizzi. «Sembra un paradosso, ma quando ho un po’ di tempo libero disegno. È il mio hobby e il mio lavoro allo stesso tempo», sorride Rik. Se non disegna, è impegnato con i figli a leggere, giocare, andare in bicicletta o… disegnare! Sembra una vita tranquilla, scandita da un’unica routine – il lavoro e la famiglia – da cui però, come un fiume carsico che scorre sotterraneo per poi emergere con forza in superficie, sgorga la fiamma di una profonda e istintiva passione – l’amore per l’arte. «Ho sempre sentito molto forte l’influenza dell’arte del ‘900 e delle avanguardie artistiche che sono una fonte inesauribile di ispirazione», racconta. «Dal Cubismo al Futurismo, dal Suprematismo ai Fauves mi sono sempre appassionato al concetto di superamento della realtà, molto presente in queste correnti. È da qui che è partita la mia ricerca. Il risultato credo sia un dolce frankenstein, fatto di morbide forme cubiste, figure geometriche pure estremamente romantiche, astrattismo sorridente e colori accesi accanto a tinte pastello – un ossimoro forse o forse solo opposti che si attraggono». Parliamo di pilastri del calibro di Mondrian, Haring, Calder, Duchamp, Fontana, Malevich, Picasso…
E oggi dove batte il cuore di Riccardo? A quale orizzonte è rivolto il suo sguardo? «Dopo l’enorme ondata digitale che ha portato un ampliamento delle potenzialità creative, ma chiudendoci e chiudendo tutto su piccoli schermi, le mie preferenze vanno sempre più alla creatività analogica e alla street art, che ti concede il lusso di vedere l’arte inserita nell’ambiente urbano e ti lascia il tempo di assimilarla giorno dopo giorno, strada dopo strada». Al di là dell’arte che lo ispira, passata o presente, il suo occhio professionale si sofferma sull’equilibrio, o il disequilibrio voluto, della composizione. «Un’opera deve essere una struttura perfetta di ritmo e stasi, di pieni e vuoti, di accostamenti di colore e di chiaroscuri». E poi sopra tutto c’è la forma. «Quando mi dedico ai miei lavori personali, mi fermerei alla pura linea a matita come se, una volta trovata la giusta forma, l’opera sia praticamente finita». La presenza umana è sempre lì, protagonista o semplice comparsa a seconda dei progetti, indagata con una sensibilità particolare per le mani e il volto. «I due principali elementi che mi servono per comunicare sono i gesti e lo sguardo», spiega Riccardo. «Mi interessano il soggetto e il messaggio, tecniche e supporto sono solo un mezzo per veicolarli. Quello che voglio è far venire altre idee, realizzare opere che ispirano altre opere, altri pensieri o altre possibili vie che non avevo percorso o immaginato io. Un messaggio diventa artistico quando ha dentro questa scintilla che lo tiene vivo e gli permette di passare da persona a persona». E l’amletica ed eterna domanda sulla creatività, l’ispirazione… cos’è, da dove arriva? «Nasce da quello che mi circonda, dal quotidiano. L’ispirazione si coltiva, la si innaffia regolarmente e la si fa crescere, guardando il mondo con gli occhi, il cuore, il cervello e con un pizzico di ironia».
Rik ha capito presto che il proprio «tono di voce», il Sacro Graal degli artisti, lo si trova attraverso un percorso rabdomantico che dopo tanta ricerca – la parte più bella del mestiere – dopo tanto disegno fatto per il semplice piacere di disegnare, dopo tanti colpi di fulmine per artisti, stili, opere ci offre la ricompensa – tornare a casa tenendo tra le mani la propria strada «che non è nient’altro che la somma di tutto quello che abbiamo guardato e sentito con tanta passione, la somma di infinite ore passate a disegnare. Lo stile arriva quando si smette di cercarlo e guardiamo noi stessi e ciò che abbiamo imparato. Bisogna poi prepararsi all’inevitabile cambiamento perché, si spera, nel tempo muteremo anche noi e il nostro modo di vedere le cose».
Lasciamo ora Rik nel suo studio, al suo disegno e ai suoi pennelli, alla china, all’acquerello e all’acrilico, lasciamolo tra incisioni, acquetinte, litografie e serigrafie, tra i ritmi improvvisati della musica jazz e le copertine vintage di Neil Fujita e Jim Flora. Lasciamolo sperimentare ed esprimere la sua parte più profonda e offriamo rispetto, educazione e delicatezza al suo nobile mestiere di cantastorie. Lasciamolo da solo, come piace a lui, in silenzio e in dialogo con la sua passione.